"Non possiamo pensare di essere uccisi in un parcheggio perché un paziente è morto". Dopo il tentato omicidio del cardiochirurgo di Lecce Giampiero Esposito da parte del marito di una malata deceduta, la Società italiana di chirurgia cardiaca (Sicch) punta il dito contro un "inaccettabile massacro mediatico nei confronti dei medici".
Un 'battage' che induce "in pazienti e familiari il concetto che il risultato di una terapia debba essere solo positivo, e se così non fosse la responsabilità è della malasanità e dei medici che la rappresentano". Gli specialisti sottolineano che "il desiderio di immortalità della nostra società - si legge in una nota firmata dal presidente della Sicch, Ettore Vitali - non è compatibile con la realtà della clinica e delle risorse che abbiamo a disposizione".
La Sicch "è vicina al collega e gli augura di poter ritornare presto alla sua stimatissima attività professionale", esordisce il comunicato. Perché anche se "i risultati attuali dei centri italiani sono tra i migliori al mondo", precisano gli esperti, "la mortalità è un evento possibile dopo ogni intervento di cardiochirurgia". Una specialità "molto visibile e spesso utilizzata per fare notizia". Non solo dai media, ma anche dalle istituzioni che "talvolta hanno partecipato di persona al balletto mediatico". Per esempio "pubblicando sul 'Corriere della Sera' una classifica delle cardiochirurgie buone e cattive". Spesso, incalzano gli esperti, si parla di malasanità "quando le responsabilità sono solo amministrative e gestionali".
E "pazienti e avvocati hanno creato una santa alleanza all'americana per chiedere risarcimenti, dimenticandosi che i professionisti italiani guadagnano pochissimo rispetto ai rischi che si prendono". In conclusione, "siamo stanchi di essere additati come responsabili dei problemi della sanità italiana, logorati dall'essere considerati come terminali di spesa e non di cure, ed esasperati dall'essere accusati e trascinati in tribunale senza materia, 'tanto non costa niente'".
La Sicch invita gli italiani a riflettere. "Anche se qualcuno forse non lo sa - scrive - il sistema si regge sul sacrificio personale degli addetti ai lavori, ma il vaso è ormai colmo. Che la società civile ci pensi: per avere le cure bisogna avere i dottori, ma noi non ce la facciamo più, e quindi chi e come ci curerà domani?".
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