Le proiezioni di uno studio americano parlano chiaro: entro il 2050 ben 13 milioni di Americani saranno malati di Alzheimer, a meno di non trovare per allora nuovi mezzi per prevenire o curare la malattia.
Il dato è stato ottenuto con uno studio di incidenza della patologia, apparso su Archives of Neurology.
Denis A. Evans e i suoi colleghi del Rush-Presbyterian-St. Luke’s Medical Center di Chicago hanno fatto le loro stime sulla base di uno studio di incidenza (che ha calcolato cioè il numero di nuovi casi di Alzheimer per anno) che si è protratto per 4 anni e ha coinvolto 3913 soggetti con più di 65 anni. I ricercatori hanno quindi calcolato la prevalenza nazionale di Alzheimer (il numero di persone che hanno la malattia) utilizzando i dati del Censo e i tassi di mortalità ottenuti dal National Center for Health Statistics.
Hanno così potuto compiere delle proiezioni per indicare quante persone sono destinate ad ammalarsi se il trend della patologia resta quello attuale.
La malattia di Alzheimer è in crescita: dai quattro milioni e mezzo di casi attuali si attendono più di 13 milioni di pazienti per la metà del secolo in corso; - L’incremento più significativo di nuovi casi si avrà nei pazienti molto anziani, con 85 anni o oltre: nel 2050 si stima che il 60% dei malati di Alzheimer sarà ultraottantacinquenne.
I tassi di mortalità al di sopra dei 65 anni stanno diminuendo, dicono gli autori dello studio: ciò significa che la popolazione sta invecchiando sempre di più ed aumenta quindi il rischio di ammalarsi di Alzheimer.
“Il prossimo ventennio sarà caratterizzato da profonde trasformazioni nella composizione della società: gli ultraottantacinquenni sono in effetti una porzione di popolazione che sta aumentando velocemente”, conferma la dottoressa Chiara Gavazzini, geriatra presso l’Istituto Nazionale di Ricerca e Cura dell’Anziano (INRCA) di Firenze.
Anche in Italia, secondo i dati raccolti negli studi epidemiologici condotti nel nostro paese, la probabilità di Alzheimer è in crescita proprio grazie all’aumento dell’età media.
“Oggi sempre più persone hanno raggiunto l’età della vecchiaia e della grande vecchiaia: molte di loro sono ancora in buona salute, attive nella vita civile, impegnate in attività professionali e sociali.
In poche parole, sono anziani che non si sentono vecchi e non accettano di essere percepiti come tali”, osserva Gavazzini.
Perché se ancora non sono noti metodi certi per prevenire l’Alzheimer, di certo si può cercare di invecchiare meglio, conservando al massimo le proprie capacità intellettive.
Secondo la geriatra, questa può essere l’unica risposta di fronte ai “rischi” portati dalla vita che si allunga: “il “segreto” per mantenere in forma il cervello è proprio farlo funzionare e allenarlo: il suo invecchiamento può infatti avvenire senza sostanziali perdite di funzione, attraverso una sempre maggiore specializzazione”, conclude la dottoressa Gavazzini.
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